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Inverno…
Le Prealpi sullo sfondo si riflettevano sulle acque azzurrine del Piave. I resti della diga del Vajont si imponevano in questo dipinto naturale come un tocco di Art Nouveau in un mare di Impressionismo paesaggistico. Il fiume scorreva veloce nella valle, come i proiettili che avevano riempito i silenzi del luogo durante la Grande Guerra e che gli avevano fatto guadagnare l’appellativo di fiume Sacro alla Patria. Lo scrosciare della corrente rimbombava nel territorio come la frana che precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino e che diede all’imponente costruzione la nomea di disastro.
Da allora la diga rimase in disuso. Le sponde erano innevate, le pietre congelate e i rami dei salici erano secchi e spogli. Il colore creava un tutt’uno di bianco e nero, spezzato solo dal grigio della diga e dal verde acqua del torrente Vajont, che ridava anima al luogo silenzioso. I cinguettii e le folate di vento che fischiavano nella valle animavano quello che poteva sembrare morto, in questo fermo immagine simile a un negativo di una vecchia macchina fotografica.
La fauna del luogo era stata invasa da qualcuno che poco c’entrava con la valle. Questa figura, leggiadra e che saltellava da un blocco di cemento all’altro, era bianca, candida. Aveva il pelo lungo e setoso. Il suo portamento era regale e deciso. Ogni tanto muoveva la coda in modo incantatore come a voler dare un punto di riferimento da seguire alle piccole creature che si portava dietro. Tentavano di mantenere il passo di chi guidava il cammino ma i loro movimenti, al contrario di quelli dell’animale che conduceva la fila, erano goffi e impacciati. Ogni tanto scivolavano e rischiavano di cadere nelle acque gelide sotto di loro, e per questo l’essere dalle sembianze a dir poco fatate si voltò di scatto. I suoi occhi impari, uno verde e uno azzurro, fissarono quelli dei suoi piccoli e gli intimavano a proseguire facendo attenzione.
A vederla da lontano sembrava una volpe artica, con appunto una coda lunga, pomposa, soffice e fluente, ma poco aveva a che fare con il mammifero selvatico. L’animale che si muoveva a passo svelto era un gatto.
Aveva le sembianze di quelli nordici, come i Maine Coon o quelli norvegesi, quindi difficilmente si trattava di una gatta randagia. Era presumibile che fosse scappata e mai più tornata a casa dai suoi padroni. Si era adattata alla natura e aveva imparato a sopravvivere, rubando qualche trucco dai gatti europei che, per come trascorrevano la loro vita alla giornata, impersonavano perfettamente la diceria che avessero nove vite, essendo temerari e liberi. Non avendo paura di niente.
Ecco l’elenco degli autori:
Fiamma Grazia Armellino – Il viaggio
Maria Florencia Batistoni – Il gatto della libreria “Adagio”
Nicola Benedetto – Un batuffolo rosso
Anna Borghi – Il trasloco dei gatti
Federica Castaldi – Il viaggio di Pingu
Fabio Cavalchi – Tra gli artigli del vento
Ermanno Cottini – Un tricobezoaro di pelo di gatto alquanto indigesto
Isabella Fieni – Codacorta
Marcella Graglia – L’inciampo
Eugenio Novara – Le gatte mancine
Mike Papa – Oliver
Michela Ravasio – Briciola e la noia
Alessio Romanini – La gatta Sbirulina
Ivana Rossi – Il gatto di Baudelaire
Simone Toma – Il miracolo del Vajont
Daniele Treu – The final cat
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