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Capitolo 1
ADAM
Gli uomini passano e passa una canzone
Ma nessuno potrà fermare mai la convinzione
Che la giustizia no, non è solo un’illusione
Fabrizio Moro – Pensa
«Qual è la via?» chiedo a Ben mentre salgo e giro la chiave del RAM 1500 Classic in dotazione all’FBI di New York.
«Old Field Road 103» risponde salendo in macchina.
«Fottuti mafiosi bastardi.» Scuoto la testa; Old Field è una delle zone più ricche di Long Island e di tutto lo stato di New York, la casa in cui ci stiamo recando affaccia sulla costa Ovest dell’isola, sull’oceano, con vista sulle spiagge del Connecticut.
«E che pensavi Adam? Che stessero in un palazzone di cemento armato in mezzo all’isola? È quella è solo la villa per le vacanze…» Ben è simpatico, non troppo serio, un omone ben piazzato con i capelli castani e gli occhi verdi, uno che ha dedicato la sua vita all’FBI senza ricevere uno straccio di promozione, per questo, alla mia stessa età, è soltanto un agente semplice. A me è andata decisamente meglio, sono un detective, ho fatto carriera, spero di farne ancora, e ora, che devo stare qui per un po’, sono contento che mi abbiano affidato lui come partner, temevo di trovare uno di quegli agenti pieni di sé e con la ragione sempre in tasca, non sarei riuscito a lavorare con uno così. Ben, invece, è un’ottima spalla, segue gli ordini ma è anche in grado di prendere l’iniziativa, spero di riuscire a fargli avere una promozione prima di tornare a casa, se la merita.
«Questa sarà l’ultima vacanza che fa, comunque» rispondo per chiudere il discorso.
Ho chiesto di essere trasferito all’FBI di New York per un paio di mesi, il mio matrimonio sta andando a rotoli, mia moglie ha deciso per tutti e due che era finita senza darmi modo di provare ad aggiustare le cose, e l’ultimo posto in cui volevo restare era Miami. Volevo lavorare nella sezione antimafia più impegnativa di tutte: New York, sono stato assegnato al distaccamento di Long Island, dove i mafiosi vanno in vacanza, o, almeno, dove andava in vacanza fino a qualche mese fa l’amico che stiamo andando a trovare. Sicuramente ne gioverà la mia carriera perché, da qualche mese, il signor Michael Bonanno, classe 1972, ha deciso di attendere il processo ai domiciliari nella sua villa di lusso nell’Old Field.
Michael Bonanno, detto Mike Beretta, spietato sicario affiliato alla famiglia Gambino, come da tradizione: i Bonanno e i Gambino collaborano da almeno tre generazioni. Colto in flagranza di reato, quattro mesi fa, durante l’omicidio del gioielliere ebreo David Eppinger, nel bel mezzo di Brooklyn. Gli sarà sembrato incredibile quando l’hanno preso proprio mentre ancora impugnava la pistola con cui aveva appena ucciso Eppinger; a me non quadra questa dinamica, ma anche i mafiosi fanno passi falsi, a volte. Inoltre, sulla scena del crimine erano in tre, tutti armati, quindi, si aspetta il processo per stabilire chi sia stato a sparare in fronte al gioielliere. Tutti e tre sono stati spediti ai domiciliari perché incensurati, tze, incensurati tre dei mafiosi più importanti di New York, tre del clan Gambino, ridicolo. Perciò, il caro Mike Bonanno, ha chiesto e ottenuto di attendere il processo nella sua villa di Long Island affacciata sull’oceano.
Bastardo.
I mafiosi non li sopporto, e non solo per ciò che fanno e rappresentano, ma per l’atteggiamento che hanno costantemente verso tutto e tutti, come se il mondo fosse loro di diritto.
Sono entrato a far parte dell’FBI a ventiquattro anni, dopo cinque anni in polizia; a trentuno facevo parte dell’antimafia di Miami e ora, a trentasette, sono qui, nello stato di New York, per un paio di mesi, per controllare che Michael Bonanno non si dia alla fuga e, intanto, svolgere il mio compito di detective e scoprire cosa sta succedendo alla cosca dei Gambino e, se Bonanno è stato incastrato, capire chi ha reso possibile il suo arresto; e lo dobbiamo scovare prima che il boss di New York, Tommaso Gambino, detto Tommy la Bestia, lo scopra.
Dobbiamo effettuare due controlli al giorno, mattino e sera. Oggi è il mio primo giorno da Bonanno e già so che appena aprirà bocca avrò voglia di mettergli le mani addosso.
Fottuti italo-americani, hanno rovinato questo paese.
«Tutta la famiglia è ai domiciliari?» chiedo.
«No, non siamo riusciti a ottenerli né per la moglie, Natalie, né per i figli. Joe ha ventitré anni, testa calda come il padre o forse peggio, ed Eva, diciannove, ha iniziato a frequentare lo Stony Book College di Long Island, sembra tranquilla ma non ci metterei la mano sul fuoco.»
«Ottimo.»
Percorriamo una strada stretta, a destra c’è l’oceano, illuminato dall’ultimo sole d’estate, a sinistra fitti boschi di latifoglie; nel cuore dell’Old Field, la strada silenziosa si snoda tra le ombre degli alberi secolari. I rami intrecciati formano un arco naturale sopra la carreggiata, creando un tunnel verde attraverso il quale filtra la luce del sole.
Quando il bosco finisce ci troviamo davanti un grosso cancello in ferro battuto, su cui capeggiano le lettere B e G. Bonanno e Genovese, il padre e la madre di Michael.
Lasciamo l’auto davanti al cancello, è aperto: nessuno ruba a casa di un mafioso come Mike Bonanno. Entriamo e ci dirigiamo al portone di legno scuro incastrato tra muraglioni di pietra. Villa Bonanno-Genovese è un sogno, un cottage in pietra a vista, circondato da un recinto fittizio di siepi e naturalmente dotato di una piscina grande quanto il mio appartamento di Miami. Il giardino, che si estende intorno a tutta la villa, è curato e centinaia di rose rosse e bianche crescono in ogni angolo, intorno alla recinzione decine e decine di alberi di mele mature. Un piccolo vialetto a lastroni di pietra grigia conduce all’ingresso.
Attraverso il vialetto, seguito da Ben, e busso con colpi fermi contro il portone. Tre.
Toc. Toc. Toc.
Niente.
Toc. Toc. Toc.
«FBI! Bonanno apri la porta!»
Non iniziamo con questi giochetti Mike, fai il bravo.
Sento dei passi, poi qualcuno che gira la chiave nella serratura un paio di volte e la porta si apre.
Mi trovo davanti un ragazzo alto, magro e muscoloso, capelli neri, occhi nocciola circondati da profonde occhiaie, pelle pallidissima, mi squadra dall’alto in basso; ha la barba appena rasata da buon italiano, indossa una polo nera aperta sul petto e pantaloni scuri, stirati con una piega perfetta.
«Tu chi cazzo sei?» mi guarda schifato e sembra addirittura che stia per sputare a terra.
Quello che sbatterà il tuo culo in galera, insieme a quello di tuo padre.
«Detective speciale Adam Green – gli porgo la mano. – Sono il vostro referente da oggi per i prossimi due mesi.»
Mi guarda con aria di sufficienza e gonfia il petto per sembrare più alto di me, guarda la mia mano tesa, la sdegna e si volta verso l’interno della casa.
«Papà! Veni a firmari sta spaccatura di coglioni.»
Quando parlano in siciliano per non farci capire cosa si stanno dicendo riesco a odiarli ancora di più. Sono venuti a importare la mafia nel nostro paese, si sforzassero almeno di parlare la nostra lingua.
Sbircio dietro Joe e vedo spuntare il signor Bonanno dal corridoio, è un uomo di bell’aspetto ma meno di suo figlio. È alto, ha i capelli neri un po’ lunghi e anche lui ha la barba appena fatta, ha un po’ di pancia, ma dai bicipiti che mostra sotto la maglietta bianca si vede quanto si tenga ancora in allenamento.
«N’han mandatu nuovu. Papà lui è…» Non si ricorda più il mio nome o, comunque, fa finta di non ricordarselo.
«Sono il detective speciale Adam Green. Sarò il vostro referente per i prossimi due mesi! Sa già come funziona, no? Firmi qui!» Ben mi sporge la cartellina e io lo faccio firmare.
Mi restituisce la penna e agita una mano verso il cancello.
«Bene ora potete anche uscire dal mio vialetto» dice con prepotenza.
«La cosa importante è che non ci esca lei!» accenno un sorriso e mi avvio verso il pick-up mentre quei due si chiudono la porta alle spalle.
«Il figlio sta già gestendo qualcosa… è evidente. Fa da tramite per il padre che non può uscire» dico a Ben appena chiudo la portiera.
«Lo pensiamo tutti, Adam, ma non è facile da dimostrare. C’è un motivo se i Gambino sono la famiglia mafiosa più importante di New York da oltre un secolo…»
«Torniamo in centrale! Questa sera ci aspetta la seconda visita di cortesia a casa Bonanno e già non lo sopporto più!»
***
«Holly! Puoi lasciarmi parlare? Ho…» mia moglie, o ex moglie, non so bene a che punto siamo, mi ha chiamato per ricordarmi per l’ennesima volta che non sono un vero uomo, secondo lei.
«Adam! Non si scappa dai problemi come stai facendo tu! Dovevamo gestire il divorzio, dobbiamo dividere le nostre cose, devi traslocare!» Fino a oggi non mi ero mai accorto di quanto la sua voce mi irritasse. Lo faceva prima? Non lo so. L’ho amata così tanto dal primo giorno che non sono riuscito a capire se la amassi ancora quando mi ha lasciato.
Quindi, non l’amavo più, giusto?
«Sono solo due mesi… quando torno in Florida sistemiamo tutto.»
«Questa è una tua patetica scusa per vedere se in due mesi cambio idea… non la cambio, Adam! Non c’è più niente che ci tenga insieme!» dice così e so che è una chiara allusione al fatto che non abbiamo avuto figli, prima c’era sempre la mia carriera e quando mi sono sentito pronto lei non era più innamorata di me. È andata così, non sarà né il primo né l’ultimo matrimonio fallito, il nostro.
«Tra due mesi firmerò, te lo prometto. Ora lasciami in pace per favore… ho bisogno di stare da solo.»
Chiude bruscamente la comunicazione e io rientro in centrale riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni. Questa storia del divorzio non l’avevo messa in conto, pensavo davvero che saremmo stati insieme per sempre, anche se mi ero accorto che il nostro rapporto si era deteriorato negli ultimi anni, ma non credevo fino a questo punto; sono sempre stato troppo concentrato sul mio lavoro per accorgermi che mia moglie si stava stancando di me.
«Andiamo dai Bonanno e poi ce ne torniamo a casa!» Ben prende le chiavi del pick-up e me le lancia.
«D’accordo.» Le prendo al volo, dopo questa telefonata non vedo l’ora di farmi una dormita.
Attraverso nuovamente il vialetto di Villa Bonanno. Vado al portone con la cartellina sottobraccio mentre Ben resta in auto.
Toc. Toc. Toc.
Questa volta sento i passi arrivare subito, veloci, leggeri, poco presuntuosi.
Qualcuno apre la porta e sinceramente non è chi mi aspettavo di vedere: una ragazza bellissima, ha i capelli neri mossi lunghi fin sotto le spalle e gli occhi nocciola, come suo fratello, ma i suoi hanno un’aureola verde, ha le labbra rosse e piene, le ciglia lunghe, la pelle bianchissima, è abbastanza alta e… non dovrei guardare, ma ha una canottiera grigia stretta che le fascia il seno piuttosto ingombrante.
«Tu chi cazzo sei?» fa una smorfia e mi squadra dalla testa ai piedi mentre socchiude gli occhi perché un raggio di sole la colpisce sul viso.
«Ah, tutti gentili in famiglia vedo! Adam Green – le porgo la mano. – Detective speciale, mi occuperò della tua famiglia per due mesi.» Lei guarda la mia mano con disprezzo e mi lascia così, come un idiota con la mano tesa nel vuoto. La ritraggo e tiro fuori la cartellina.
«Papà!»
Ed eccolo il signor Bonanno che viene a firmare, sembra tranquillo, come se questi domiciliari glieli avessero cuciti addosso e quando un mafioso è così tranquillo io mi fido ancora meno.
«Detective! Questa è mia figlia, Eva, va al college qui a Long Island! Se siete da quelle parti tenetela d’occhio! – mi fa l’occhiolino – Avrà figli anche lei immagino, saprà come si sente un padre che non può controllare la figlia!» dice con il suo stupido accento italo-americano alludendo al fatto di non poter uscire di casa.
«No, io non ho figli.» Chiudo in fretta.
«Ma come! Quanti anni ha?»
Che cazzo vuoi, Bonanno!
«Trentasette.»
«Eh deve sbrigarsi allora.»
«Certo! Grazie del consiglio Bonanno… ci vediamo domani mattina. Eva, è stato un piacere.» Mi guarda storto ma me ne vado sorridendo.
Chissà perché gli italiani sono così stronzi e le italiane così belle?
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