Le ali della farfalla

16,00 

di Bruno Garbagnati

 

Nel cuore degli anni ’70, Denny è un giovane che vive il sogno hippie. Con i capelli lunghi e la sua amata Fiat 500 su cui campeggia fiera la scritta “liberate marja”, suona la chitarra con un gruppo di musicisti talentuosi e gode della vita con una gioia inebriante, certo di poter abbandonare l’uso di droghe quando vuole.

Ma una notte fatidica cambia tutto. Dopo un incontro casuale con la polizia, Denny e il suo amico Renato, si trovano accusati ingiustamente e trascinati in un incubo orchestrato da un violento tenente di polizia detto il Caimano.

Riuscirà Denny a lasciarsi alle spalle il passato e a ricominciare? Un romanzo potente e commovente che esplora le fragilità umane e la forza della speranza.

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Ecco un’anteprima del romanzo
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Capitolo Primo

 

– Ci sei questa sera Denny?

Gli stupendi occhi azzurri di Renato avevano brillato nel porgli la domanda.

Denny rispose senza alzare la testa dallo spinello che stava arrotolando.

– Non lo so Renè, anche se arrivo, arrivo tardi, finiremo alle due questa notte se va bene. Mi viene la morte se ci penso, serata di liscio. Lo odio!

– Non ti lamentare amico, vuoi fare cambio? Per me va bene, ti cedo in blocco il mio fottuto posto di lavoro con tutti gli schifosissimi telai che finiranno per tirarmi sordo.

Lo disse con un sorrisetto ironico agli angoli della bocca guardandolo con tenerezza. Denny e Renato erano buoni amici e c’era vero affetto tra di loro.

– Se è solo per quello anch’io finirò per non sentirci più col lavoro che faccio… vabbè, comunque lo so che sto meglio di te, in fondo suonare è la mia vita, vale la pena di sopportare quando ci capitano contratti come questo. Perché me l’hai chiesto?

Sollevò la testa e si guardarono negli occhi. Sempre sorridendo Renato si scostò una ciocca di lunghi capelli biondi dalla fronte. Denny gli porse lo spino pronto tra le mani e aggiunse bom. Era un augurio che usavano farsi tra quelli veri, quelli convinti dell’Isola come lo erano loro, gli ultimi superstiti sinceri del movimento più stupendamente colorato degli ultimi diecimila anni: gli hippies.

Renato accese il manufatto e tirò due incredibili boccate trattenendo il fumo acre e dolciastro nei polmoni a lungo. Poi lasciò andare il respiro e d’un tratto parve comparire nella sua bocca lo sbuffo di una locomotiva che dopo essere rimasta intasata si liberava improvvisamente.

– Stasera andiamo alle piste, facciamo i fuochi. Anche se arrivi tardi mi trovi sicuro perché domani non lavoro e stanotte faccio una storia d’anfe.

Fece di proposito una pausa ad effetto contemplando la brace ardente con esagerata attenzione e aggiunse: – Niente nanna stanotte bambino… altra pausa… – e se ti va metto a posto anche te.

 

Alzò infine gli occhi su quelli dell’amico con l’aria felice di chi ha appena fatto a qualcuno un regalo azzeccato.

Denny lo guardò con l’aria trasognata… dimmi che ce l’hai …

Per tutta risposta il bel Renè mise una mano nella mezzaluna di cuoio che aveva al suo fianco e ne tirò fuori una scatola ovale di metallo ricamata con fregi indiani, aprendola poi con estrema attenzione come se fosse una sacra reliquia. I cristalli d’anfetamina quasi pura brillarono nella luce piena del sole autunnale. Per loro era un luccicore più incantevole di quello dei diamanti.

– Uauh, saranno due pezzi almeno…

– E sì, hai un buon occhio, sono due come noi in questo momento, rispose prontamente il giovane – e la voglio condividere con te fratello … lo sai che ti amo, e il suo sorriso si allargò ancora di più mentre gli restituiva la canna.

Non c’era malizia in quella espressione. I due si volevano bene davvero e sapevano di appartenere ad un gruppo ancestrale, accomunati da un sincero sentimento di fratellanza che condividevano con un manipolo di altri irriducibili come loro. Era la cosa più normale del mondo spartirsi tutto ciò che avevano.

Bastava uno sguardo per capirsi, si riconoscevano al volo senza bisogno di presentazioni. Non che fossero rose e fiori con tutti per non parlare del fatto che alcuni stavano pure prendendo una brutta piega con l’eroina ma non c’era da preoccuparsi più di tanto e per la verità nessuno aveva voglia di farlo. La loro filosofia di vita era vivi per il presente e questa non è cosa difficile quando non sei ancora ventenne e hai un cuore che palpita di profonde convinzioni riguardo a quello che vuoi essere davvero.

E Denny era uno coerente. Sapeva che il suo destino era diventare quello che aveva sempre sentito di essere, uno vero, libero, un magico e romantico hippie, lo aveva sempre saputo fin dalla più tenera età, dai tempi delle scuole elementari.

Non si era mai sentito come gli altri bambini, amava la musica e stravedeva per Jimi Hendrix e i Led Zeppelin fin dai suoi minuscoli sette anni che aveva compiuto nel mese di maggio del 1968, quando l’aria era impregnata di rock e capelloni e del rombo di moto dalle forcelle lunghe due metri.

In quei giorni sua sorella maggiore lo accompagnava alla piazza durante le limpide sere d’estate con la scusa di comprargli il gelato ma in realtà per incontrare di nascosto il suo bello e avere così la scusa buona. A lui andava bene così, chi se ne fregava dei motivi di lei? Non avrebbe mai fatto la spia con i suoi per un semplice motivo: finché quella usciva lui poteva

 

starsene a rimirare con aria sognante quell’incredibile gruppo di giovani che si mettevano dall’altra parte della piazza seduti in cerchio nell’erba abbracciando chitarre ribelli e innamorate nutrendo così lo struggente desiderio di diventare un giorno come loro, mentre lappava avido il suo gelato.

Aveva sempre saputo in cuor suo di essere uno di quelli e nel suo piccolo faceva di tutto per assomigliare almeno un pochino ad un figlio dei fiori, salvo essere poi regolarmente e sistematicamente brutalizzato da mamma e papà i quali, finché ne avevano ancora l’autorità, gli facevano regolarmente lo scalpo e chiudevano i buchi che lui riusciva a farsi nei jeans con elaborati strusciamenti sul bordo dei marciapiedi.

Per non parlare poi delle sfuriate per i vari simboli in voga che riempivano in modo preoccupante quaderni, cartelle e pantaloni di quello che doveva essere solo un bambino come tutti gli altri.

Già, come tutti gli altri…

Ma il fatto era che lui non lo era proprio come tutti gli altri e non c’era proprio nulla che si potesse fare, è una legge della natura, certi tipi ci nascono così.

Ce l’hanno nel sangue.

Aveva soltanto sette anni, in quel fatidico 68, quando aveva iniziato a studiare la chitarra. E il suo maestro, accidenti al caso, era un appariscente capellone di circa venticinque anni coperto di braccialetti e collane di ogni tipo, alto e dinoccolato con una perenne borsa di taglio femminile al fianco, cuoio morbido e nero, piena di accessori d’ogni genere per lo strumento oltre alle sue cose personali.

Denny lo adorava. E così a dieci anni era già considerato un bambino prodigio e dopo soli altri quattro già faceva parte di un gruppo di professionisti ai quali era approdato grazie alla mediazione del suo maestro che lo aveva preso sotto le ali intuendone il potenziale.

A quel punto non c’era più nessuno che riuscisse a fargli lo scalpo. Di pari passo con i capelli comparvero ai suoi lobi orecchini e al collo e alle braccia collane e bracciali, nella stessa misura in cui nelle tasche comparivano stecche di hashish e ciuffi di marjuana.

Denny stava realizzando e vivendo il suo sogno.

Il passo verso droghe più pesanti era stato breve ma in realtà non se ne preoccupava affatto, non ancora almeno. Nel profondo del suo cuore era felice perché era sé stesso, era ciò che desiderava essere da sempre e non avrebbe voluto essere diverso da come era.

Denny considerava la droga come una parte naturale della sua esistenza, qualcosa che stava lì in modo preponderante ma non invadente. Faceva parte di un modo di essere. Punto.

 

L’anfetamina sbloccava i sensi e affogava le inibizioni e Denny amava passare le notti sveglio con un amico a parlare e parlare e parlare fino a denudarsi reciprocamente l’anima.

Ma quello che lo faceva davvero dar fuori di matto era suonare dopo essersi tirato una striscia di quella magica droga che ti impediva di sentire la fatica e scioglieva i misteri dell’improvvisazione musicale esattamente come ti scioglieva la lingua.

 

Renato tolse la carta stagnola alle sigarette e ne fece una piccola busta, poi versò circa la metà del contenuto della piccola scatola di metallo e chiuse la busta con attenzione. Ce n’era abbastanza per stare in ballo fino a notte. E Denny era semplicemente felice. Lo era per quel gesto che ai suoi occhi era amore puro e anche perché alla fine era un tossico pur non rendendosene ancora conto pienamente e il solo pensiero di avere in tasca quella roba, gli faceva venire le palpitazioni al cuore.

Prese la busta dalle mani del compagno e lo baciò sulla guancia.

– Ho anch’io qualche cosa per te…

E così dicendo si alzò dalla posizione del loto nella quale si trovava e gettando via il mozzicone andò dritto e deciso verso la sua scassatissima Fiat 500 bianca con le scritte sulle portiere a caratteri cubitali che gridavano al mondo LIBERATE MARJA. Sganciò il sedile posteriore e abbassò lo schienale e da quel nascondiglio, che era più simbolico che altro, tirò fuori una scatola rotonda di metallo grande come il palmo di due mani e alta qualche centimetro che a suo tempo aveva contenuto dei pasticcini da tè.

– Ho fatto un movimento insieme a Roby dopo mangiato, annunciò, tornando verso il punto dove Renato era seduto a gambe incrociate con l’aria beata e la sostanza che faceva il suo corso. Imbracciava una chitarra che se n’era stata sdraiata con discrezione fino a quel momento nell’erba e che ora mormorava sonnacchiosamente poche e semplici cose.

Denny sedette di nuovo di fronte a lui e aprì la scatola dei biscotti mostrandogli un pezzo di marocchino di circa tre etti di peso. Movimento era il termine che si usava nello slang giovanile per indicare un acquisto per uso personale ma anche per effettuare un piccolo commercio tra il gruppo, giusto per recuperare il denaro speso ed avere come disavanzo una buona scorta per sé. Non c’era malizia in questo, non era sfruttare gli amici anzi… in questi casi le stecche vendute alla cerchia ristretta erano doppiamente generose rispetto a quelle che si trovavano sulla piazza e nessuno si sognava di polemizzare al riguardo. Per dirla tutta coloro che avviavano il movimento diventavano gli eroi del momento e Denny che già era amato e benvoluto da tutti (e ammirato in fondo, anche per la vita da sogno che faceva) in quelle occasioni era visto come il beniamino del popolo. Andava bene così. Come tutto del resto.

Staccò un grosso pezzo di hashish e glielo mise tra le mani. Fu ricambiato con un sonoro bacio sulla guancia.

Poi Denny si alzò di nuovo e, gettando distrattamente la scatola di metallo sul sedile posteriore, mise in moto.

– Devo scappare ora amico mio. Se faccio tardi poi mi fanno un paiolo così.

Si sentiva su di giri per la fumata e per la prospettiva della tirata di anfetamina che lo aspettava di lì a poco.

– Restiamo d’accordo per stanotte allora, quando arrivo, non mollarmi O.K?

Ci puoi giurare bambino, gli rispose di rimando il bel Renè alzando una mano e facendogli l’occhiolino mentre l’altro partiva di gran carriera con lo stereo che urlava al di sopra del motore.

Ancora non sapevano che nel corso di quella notte la loro vita sarebbe cambiata per sempre.

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