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Prologo
Sono nata nel corpo sbagliato, nel corpo di qualcun altro. Dal primo momento in cui ho avuto coscienza di me, ho capito che ciò che vedevo nello specchio, ciò che tutte le mattine, alzandomi dal letto, mi trovavo davanti, non mi sarebbe mai appartenuto. Ero la persona giusta nel corpo sbagliato. Era come se ogni mio gesto, ogni sorriso, ogni movimento fosse costantemente accompagnato da una voce silenziosa che mi ricordava che quella non ero io.
Ero la mente giusta nel corpo sbagliato. Un paradosso che ho dovuto accettare fin troppo presto, un peso che ho portato con me ogni singolo giorno della mia infanzia, della mia adolescenza, e persino della mia prima età adulta. Sono nata donna, nel corpo di un uomo. Ed è stato come vivere una vita in ombra, sempre alla ricerca della luce che finalmente mi avrebbe mostrata per chi ero davvero.
La mia vita è stata una giostra, ma non una giostra tranquilla di quelle che ruotano lentamente al ritmo di una musica dolce. No, la mia è stata come le montagne russe: adrenalina pura, emozioni fortissime, a volte felicità sfrenata, altre volte paura da togliere il fiato. Mi sono divertita tanto, è vero, ma ho anche tremato, pianto, e vissuto momenti di vuoto che sembravano interminabili. Ho riso, pianto, gioito e sofferto, tutto in modo amplificato. Tutto tanto, sempre tanto.
Non ho mai accettato la mediocrità di una vita che non volevo. Non potevo farlo, perché sarebbe stato come negare la mia stessa esistenza. Ho lottato con le unghie e con i denti per avere il corpo che tanto avevo sognato da bambina, quel corpo che osservavo con invidia sulle mie amiche, sulle mie parenti, sulle donne belle e sicure che incrociavo per strada. Non era una semplice ammirazione: era un desiderio profondo, bruciante, una necessità. Quel corpo, quella libertà di essere chi ero, non era un capriccio: era vita, era respiro, era tutto ciò che desideravo per sentirmi completa.
La mia vita, quella vera, quella che sognavo, è cominciata a trent’anni. Ho aspettato trent’anni per guardarmi allo specchio e finalmente sorridere, finalmente riconoscermi. È stato un viaggio lungo e faticoso, ma anche incredibilmente liberatorio. Per questo, ora che ne ho sessanta, me ne sento appena trenta. È come se avessi recuperato tutto il tempo perduto e fossi pronta a viverlo appieno, senza compromessi, senza rimpianti. Ho appena iniziato a vivere davvero, e non voglio fermarmi. Voglio raccontarvi di quei primi trent’anni della mia vita, quelli che non conto, quelli vissuti in un corpo che non volevo e che non poteva mai rappresentarmi.
Voglio raccontarvi di come sono diventata Daria. Voglio parlarvi delle battaglie, delle gioie, delle sconfitte e delle piccole grandi vittorie che hanno segnato il mio cammino. Voglio condividere con voi il mio amore per la vita, per i sogni, per quella forza che non sapevo di avere e che mi ha permesso di arrivare fin qui.
Sono nata nel corpo sbagliato. Ma ora, finalmente, sono io. E voglio raccontarvi perché volevo i tacchi a spillo.
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